Quei pazzi dell’uno contro uno

Quei pazzi dell’uno contro uno

Andrea Biffi

Perché è determinante lavorare nell’attività di base (e non solo) sul duello. Con lo spirito giusto, con pazienza e coerenza. Fornendo le armi ai giovani giocatori per migliorare la propria imprevedibilità.

Prologo. A Tbilisi quando gioca il Napoli, succede il finimondo, si riempiono all’inverosimile bar e cinema che trasmettono per l’occasione la partita dei partenopei e tutto il resto si ferma. Le serrande si abbassano, non si consegna la posta, si svuotano le botteghe dei barbieri e inspiegabilmente i ceri offerti alla Santa Vergine di Kashveti registrano un cospicuo aumento. C’è Kvara che gioca e qui, lui, è già diventato un’istituzione, o meglio, un santino da tenere nella tasca della giacca.

Lado Kakashvili, il suo primo allenatore diceva che in testa aveva solo il dribbling e per lui “saltare” l’avversario era diventata una piccola ossessione fin da bambino: «Non gli abbiamo mai detto di smettere o di non farlo, non lo abbiamo mai confinato in un ruolo». E ancora il capo dell’Academy dove Khvicha è cresciuto (Andrés Carrasco, spagnolo di nascita) dice: «Kvara è molto georgiano, tende a non preoccuparsi quando le cose non vanno bene, non pensa alle conseguenze di un errore. È un po’ anarchico. E un po’ artista».

Contemporaneamente a migliaia di chilometri di distanza da Tbilisi, la magia si consuma allo stadio Maradona, l’ex San Paolo di Napoli, chi non ha gli occhi fissi sul campo può distinguere con assoluta certezza l’entrata in possesso di palla del georgiano. Lo stadio si anima, la folla ha un sussulto di speranza e trepidazione, sapendo che qualcosa sta per accadere. Succede proprio questo con Kvaratskhelia: determinerà qualcosa. Chi segue lo sport vive per gente come lui. L’attesa della giocata, la meraviglia nel vedere confondersi il difficile e il semplice, sono gli elementi che agli occhi dello spettatore trasformano normali giocatori in fenomeni.

Uno contro uno

Non c’è alcun verso di farmi cambiare idea. Allenare i bambini al duello, al dribbling e al piacere della giocata è come tenere in vita l’essenza stessa del calcio; pensate per un attimo al nostro sport senza Ibrahimovic, Mbappé o Neymar, senza di loro certe giocate svanirebbero, addio alle figure degli eroi in pantaloncini e tacchetti, agli idoli da imitare nelle gesta e da replicare poi nei campetti sotto casa, nel cortile o all’oratorio del paese.

Ed è qui che tutto parte e si innesca. I bambini vogliono ripetere i dribbling di Messi e Ronaldo, le giocate funamboliche di Kvara, i gol di Haaland e Lautaro e le punizioni di Dybala. Vogliono sognare e immedesimarsi nei loro campioni. Come diceva Bruno Pizzul, “Tutto molto bello…”. Ma non vi sembra manchi qualcosa? Già, qualcosa manca, o meglio qualcuno. Manca un nome italiano. Se un bambino dovesse immaginarsi in azione con la palla incollata al piede, a quale giocatore italiano pensate possa ispirarsi? Mi spiace ma in questo momento l’Olimpo per noi è davvero distante. In effetti in Italia siamo per l’essenziale, pochi fronzoli a spasso per il campo, niente ricami barocchi e in particolar modo mal digeriamo qualunque assolo narcisista: “Bravo ma avresti dovuto passarla…”.

Insomma, qui nel Bel Paese badiamo al sodo. Se poi nel mucchio, qualcuno va fuori dai bordi per una sua avversa inclinazione alla dottrina nazionale, lo bolliamo come talento. “Lui è l’eccezione”. Ma non è detto che ce la faccia. La strada è lunga e l’ambiente nostrano tende a standardizzare chi mostra con la palla certe tendenze anarchiche. Avanti così e sperare di vedere qualche Kvara italiano sarà sempre più complicato.

Come fare allora? Dovremmo cambiare il nostro modo di pensare, dovremmo quasi ragionare al contrario, anziché sperare che qualcuno esca dal mucchio per volontà e capacità unicamente proprie, dovremmo invece essere i primi a coltivare l’eccezione, renderla (quasi) ordinaria. Scovare nei bambini quella particolare predisposizione, afferrarla e non farcela scappare.

Le scuole calcio (ma prima di tutto ne farei un discorso di cultura) dovrebbero abbracciare il tocco di palla, la sensibilità, il dribbling, l’inverosimile gioco del duello e in particolar modo con i bambini, dovremmo farci promotori del successo del singolo e poi della squadra.

Indietro
Pagina 1 di 3
Avanti