La conduzione palla per i più piccoli

La conduzione palla per i più piccoli

In che modo lavorare con i bimbi delle prime categorie dell’attività di base per insegnare al meglio il fondamentale della conduzione palla.

Ricordate Diego Armando Maradona in Argentina – Inghilterra, nel Mondiale del 1986 quando realizzò il gol, ad oggi, definito il più bello della storia? O George Weah in Milan – Verona (stagione 1996-97) che dribblò tutti gli avversari prima di segnare? O ancora Adriano in Inter – Udinese (2004-05)? E le più attuali serpentine di Messi o le progressioni letali di Cristiano Ronaldo? Ecco, quando penso alla guida della palla, mi viene in mente questo.

È la massima espressione dell’individualità, dell’io, la palla e… tutto il resto non conta. È proprio da questo concetto, “io e la palla”, che si deve partire nell’insegnamento del calcio ai bambini. Per questo è uno dei primi “fondamentali” che vengono allenati sui campi di tutto il mondo. File, trenini, quadrati, croci e chi più ne ha più ne metta. Svariate sono le metodologie che ci permettono di sviluppare tale gesto. Tuttavia, nonostante venga trattato in mille modi e allenato fin da piccoli, mi permetto di definirlo come il fondamentale meno richiesto in gara dagli allenatori. “Passala”, “girala”, “gioca a 2-3 tocchi” o peggio ancora “non portarla, che la perdi” sono parole ahimè ricorrenti. Infatti, sono pochissime le volte in cui si incentivano i bambini ad avanzare nel campo sfruttando, appunto, la guida della palla (o conduzione).

Il fondamentale tecnico

La conduzione della palla rientra nei fondamentali tecnici di base del calcio. All’apparenza risulta semplicemente una corsa con la sfera tra i piedi. Necessita, invece, di una destrezza fine e una variabilità che dipendono da numerosi fattori (avversario/i, terreno di gioco, dislocazione in campo…). Diverse sono le classificazioni che si possono fare: in base alla direzione, alla superficie di contatto del piede con l’attrezzo, alla velocità di conduzione… Analizzando ulteriormente il gesto, è chiaro come non può essere mai fine a se stesso.

Infatti, un giocatore conduce palla dopo aver ricevuto un passaggio da un compagno o dopo un contrasto/intercetto; in rarissimi casi partirà da fermo con il pallone tra i piedi. Nemmeno il Regolamento del Gioco del Calcio prevede una situazione simile. Inoltre, può essere seguito da una finta per dribblare un avversario, un passaggio a un compagno, un tiro in porta, un cambio di senso o direzione… tutte combinazioni che vanno anche allenate insieme alla guida, perché richiedono una coordinazione motoria differente e specifica.

Le fasi evolutive

Le annate di Piccoli Amici e Primi Calci devono essere quelle in cui i nostri bambini sperimentano e apprendono tutto ciò che ho elencato finora, in forma ludica, riproducendo poi piccole situazioni di gara in cui applicare quanto imparato. Sono da “sfruttare” queste fasce d’età, non solo perché vi sono i primi approcci con lo sport, ma anche perché rappresentano la fase evolutiva migliore da questo punto di vista per i più piccoli. I fanciulli dai 4 ai 6 anni, che stanno per concludere quello che Piaget definisce lo “stadio preoperatorio”, sono ancora molto egocentrici e vedono il mondo solo da un unico punto di vista: il loro.

Quindi, il concetto “io e la palla” va fortemente evidenziato, per passare poi ad approfondire le prime collaborazioni coi compagni che verranno consolidate nei Pulcini e negli Esordienti. La cura del gesto in maniera didattico-analitica deve essere utilizzata per permettere al bambino di conoscere le varie “sfaccettature” e correggere gli errori e affinare i momenti che si presentano nei giochi e nelle situazioni. Gli esercizi analitici non possono e non devono essere l’unico mezzo per insegnare calcio, ma devono essere scelti adeguatamente.

Le situazioni di gioco, i giochi semplificati, le partite sono gli strumenti necessari per far capire ai piccoli calciatori l’importanza dell’utilizzo della conduzione e il principio che vi sta dietro, ossia avanzare, conquistare lo spazio libero nel campo. Questo è il vero e grande passo in avanti che bisogna compiere: se non riusciamo a collegare, a creare quel transfer necessario tra il gesto e il principio, al bambino non sarà chiara l’applicazione corretta all’interno della situazione che deve affrontare. Ogni esecuzione deve, dunque, essere contestualizzata in uno spazio dentro il quale vi è un avversario.

L’avversario

Seppure tanto “odiato”, risulta indispensabile per il calcio. La sola presenza, all’interno di qualsiasi tipo di gioco o esercitazione, impone al portatore la necessità di effettuare una scelta. Riusciamo, dunque, a dare una “cognitività” (passatemi il termine) al tutto. Significa percepire, significa analizzare e infine decidere la soluzione migliore da eseguire. Si tratta di rispondere alle classiche domande: Perché? Come? Quando? Dove?

Ai miei ragazzi dico sempre: “Un buon giocatore è quello che fa la giocata corretta, il campione è quello che la pensa prima di tutti gli altri”. Per “pensarla prima”, ovvero prevederla, deve averla vissuta e provata migliaia di volte, seppur non sarà mai identica a quella già effettuata. All’allenatore spetta quindi il compito di ricreare, in maniera semplificata, vista l’età dei bambini/ragazzi che segue, una determinata situazione, facendogliela sperimentare e fornendo gli strumenti necessari per percepirla, analizzarla e decidere la soluzione migliore da mettere in pratica in maniera altrettanto corretta a livello tecnico.

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