La storia tattica della Coppa del Mondo

La storia tattica della Coppa del Mondo

“I Mondiali hanno segnato il tempo della nostra vita”, diceva una fortunata trasmissione televisiva. I quattro anni di attesa, l’intensità del mese della Coppa del Mondo… ciascuno di noi conserva svariati ricordi legati a ogni edizione che ha vissuto, ricordi di vita che si mescolano con ricordi di calcio. È un po’ il modo di vivere di ognuno di noi, che va, appunto, al tempo del nostro gioco…

I Mondiali hanno segnato com’è ovvio anche la storia del calcio: affermarsi in questa competizione è il sogno di ogni giocatore, pensiamo solo al video in cui un giovanissimo Diego Maradona parla del suo sogno, giocare e vincere un Mondiale. Un sogno che accomuna tutti i grandi attori del palcoscenico del calcio, allenatori compresi.

Che viaggio incredibile!

Su alcuni protagonisti, come da tradizione de Il Nuovo Calcio, punteremo l’attenzione con questo articolo e soprattutto nel libro La storia tattica della Coppa del Mondo. Volume 1. Come? Ridando voce ai protagonisti, andando a sentire esattamente come la pensavano sul Mondiale che stavano giocando o che stavano osservando. Le loro analisi e i loro spunti tattici, tecnici e psicologici ci aiuteranno a capire meglio come il calcio, nel susseguirsi dei Mondiali, è cambiato. Scopriremmo con sorpresa della modernità di tanti discorsi, di tante valutazioni, di tanti approfondimenti.

In alcuni casi il filtro dei media ci ha raccontato situazioni di campo non sempre consone. Meglio recuperare la fonte originale e rileggere da un diverso punto di vista le diverse proposte calcistiche che abbiamo magari ammirato in qualche documentario o che la vulgata giornalistica ci ha trasmesso. Insomma, bisogna tornare alle fonti e al campo per sentire come gli allenatori hanno valutato le diverse situazioni, così capiremo meglio la storia del calcio.

Sono importanti le dichiarazioni degli allenatori, ma non basta un solo canale di riferimento, magari anche solo i media del nostro Paese: è corretto che le informazioni provengano da tutto il mondo, ed è per questo che abbiamo sfogliato riviste e giornali di ogni parte del globo, passando da Sudamerica (El Grafico e Placar come fonti principali) ed Europa, affiancando i quotidiani italiani con altri giornali del vecchio continente.

Il nostro viaggio parte dal 1974 (e di questo Mondiale facciamo parlare alcuni protagonisti in questo articolo) un po’ perché inizia lì la storia della Coppa del Mondo, dopo l’assegnazione della Rimet al Brasile nel 1970, un po’ (soprattutto direi) perché con la rivoluzione olandese comincia un nuovo modo di giocare e osservare il calcio, e si nota sempre più un modo nuovo di parlare di calcio da parte dei tecnici, un modo che arriva diretto fino a noi. Le tante interviste, i tanti pre- e post-partita degli allenatori nascono da sollecitazioni e domande differenti.

La storia tattica della Coppa del Mondo: Germania 1974

Raramente la Coppa del Mondo ha avuto la fortuna di mettere le due migliori squadre del pianeta, coi loro straordinari front-man, così clamorosamente paradigmatici rispetto alle loro squadre, nella finale (Germania Ovest e Olanda). Germania 1974 è stata un’edizione fortunata anche da questo punto di vista. Johan Cruyff e Franz Beckenbauer sono arrivati al torneo come gli ultimi due vincitori del Pallone d’Oro. Il Kaiser, inoltre, aveva appena conquistato la prima coppa europea nella storia del suo club, il Bayern Monaco.

Alla partita non manca nulla, con Cruyff che, proprio all’inizio dell’incontro, è il principale protagonista con un’azione degna di uno dei più grandi geni che abbiano mai calcato un campo di calcio. Lui inizia (è l’ultimo uomo della sua squadra), lui conclude, atterrato in area di rigore. Tuttavia, i tedeschi, grazie anche al calore dei loro tifosi, ribaltarono il risultato con i gol di Breitner e di Gerd Müller.

È un’edizione segnata dalla rivoluzione olandese, ispirata da Johan Cruyff con uno stile di gioco nato all’Ajax sotto Rinus Michels, che era anche il tecnico di questa nazionale. L’idea è un 4-3-3 che diventa un 3-4-3 in fase di possesso con un utilizzo rivoluzionario, appunto, dello spazio, creandolo in attacco e restringendolo in difesa. Quello che formalmente è il “libero”, Arie Haan, un centrocampista riconvertito, poteva salire in mezzo al campo per cominciare il palleggio, gli esterni alti e bassi giocano in modo originale, sovrapponendosi e scambiandosi.

La zona centrale del centrocampo vede un playmaker alla base con giocatori che coprivano e Neeskens che sapeva alzarsi per aggredire l’inizio azione avversaria: “l’altro Johan” era un feroce pressatore ed è un giocatore paradigmatico di quella idea di squadra. Davanti al centrocampo c’era una linea di tre elementi, Cruyff, Rep, Rensenbrink, libera di muoversi, ma chi ha proprio completa libertà è Johan, che poteva interpretare a piacimento gli spazi creatisi. Movimenti figli di letture, pressing, controllo dello spazio con un livello di intercambiabilità che confinava con la telepatia, supportata da una preparazione fisica notevole, abbinata a una condizione psicologica perfettamente consona a quello che si andava a sviluppare in campo. Coraggio, libertà, idee.

Il calcio totale era cooperativo, la perfezione di un sistema costruito sull’abilità individuale di interpretare lo spazio in maniera nuova.

L’argentino Perfumo richiama analogie con altri sport, condizione mai apparsa in un’analisi calcistica.

«Vedere il calcio degli olandesi è vedere una specie di basket, con i giocatori che non sono mai fermi in campo, e che si muovono tutti e continuamente in funzione della palla. Credo che in Sudamerica passerà qualche anno prima che questo stile possa essere digerito. L’Olanda gioca sempre all’attacco ma è una squadra che ha equilibrio ed è difficile da sorprendere. Alzando la linea difensiva, diminuiscono lo spazio di gioco agli avversari, inibiscono i lanci e la costruzione con la pressione. Per giocare così è necessario non solo essere preparati fisicamente, ma levarsi i timori e uscire a giocare.»

Rinus Michels, colui che ha costruito prima la grande Ajax e poi questa Olanda, semplifica, ma fino a un certo punto, l’idea di calcio olandese.

«La nostra strategia è palese: vogliamo vincere. E per vincere devi attaccare, e per attaccare devi avere la palla. Quindi il primo pensiero è ottenere il possesso e poi iniziare le nostre giocate, se possibile sorprendere l’avversario con soluzioni rapide. In Olanda tutte le squadre giocano all’attacco, è una precisa richiesta della tifoseria. Se non dai spettacolo la gente non viene allo stadio. Capisco che possa essere una strategia rischiosa ma è importante sapere che la gente ti appoggia in questo rischio. Anzi, è fondamentale che lo faccia.»

Prosegue Michels sul calcio totale. Cosa c’era alla base secondo il tecnico protagonista della storia.

«Abbiamo rivoluzionato il calcio? Così dicono. Sono stato protagonista di questa rivoluzione ma da dentro è più complicato dare una definizione. Si è parlato di “calcio totale”, è una frase felice, che funziona, ma non c’è un segreto. Il calcio totale lo hanno reso possibile soprattutto giocatori della classe di Cruyff, Neeskens, Krol, Van Hanegem… Il tentativo alla base del nostro credo era quello di comandare il gioco e a un ritmo vertiginoso.»

Per Zagallo (tecnico del Brasile vincitore a Messico 1970), la vincitrice morale, rimane una.

«L’Olanda è la squadra che ha fatto vedere le uniche novità a livello di proposta calcistica. E poi è riuscita a ottenere che un fuoriclasse giocasse per la squadra e non che la squadra si adattasse a lui.»

E poi c’è quel fuoriclasse chiaramente Johan Cruyff che a inizio Mondiale aveva espresso una volontà.

«Mi piacerebbe molto che il Mondiale lo vincesse una squadra offensiva, lo dico per il bene del calcio, è questo quello che mi preoccupa.»

Ancora lui, che parla del suo rivale, il Kaiser: «Si gioca a calcio con la testa e si usano i piedi. Ecco perché un giocatore veramente bravo non è uno che sa fare bene qualcosa di specifico e che quindi tende a prendere decisioni sbagliate in situazioni diverse. Al contrario. Franz sapeva esattamente quando poteva rischiare una giocata e quando era inutile farlo. Per questo, la testa deve dare il comando giusto, e Beckenbauer l’ha sempre dato giusto.»

Autore: Luca Bignami.
Foto: ItalyPhotoPress.