Come allenare oggi il giocatore del 2030

Come allenare oggi il giocatore del 2030

La terza edizione digitale del Master de Il Nuovo Calcio di Settore Giovanile ha visto come protagonisti 11 tecnici che hanno gettato uno sguardo sul futuro, su come formare il giocatore del 2030. 8 ore di aggiornamento unico.

«Un appuntamento che ha fatto la storia della formazione, dell’aggiornamento calcistico in Italia»: così ha esordito Alberto Nabiuzzi presentando l’ennesima edizione del nostro Master, quella 2022, svoltasi sabato 25 giugno, ancora una volta on line. «Sì, non abbiamo voluto rischiare – dice il direttore de Il Nuovo Calcio, Ferretto Ferretti – visto la situazione pandemica in continua evoluzione. Ci auguriamo di trovarci presto dal vivo, come ci hanno richiesto tanti lettori, anche se contiamo di proporre un Master, dopo questo dedicato ai giovani, per le prime squadre durante la sosta dei campionati per i Mondiali. Vediamo. Sicuramente l’aggiornamento non può fermarsi.» Detto questo, si parte immediatamente con le relazioni su un tema che vuole guardare lontano, nel 2030… per capire quali potrebbero essere le qualità richieste al calciatore e soprattutto come allenarle coi giovani. Adesso!

L’arte del duello

Si inizia con Maurizio Viscidi che ipotizza cosa potrebbe accadere tra 8 anni e quali comportamenti adottare in sede di allenamento. «Un bel compito mi avete lasciato – esordisce il coordinatore delle Nazionali giovanili italiane – che mi ha costretto a riflettere e ipotizzare. Spero di fornire qualche spunto interessante alla luce di ciò che sta accadendo in Europa.»

Maurizio Viscidi, coordinatore delle Nazionali giovanili italiane.

Il primo che ci suggerisce è legato al fatto che il calciatore del 2030 dovrà fare le medesime cose di oggi ma… marcato da vicino. Non cambieranno i gesti tecnici secondo Maurizio, sarà tutto uguale, ci sarà solo meno tempo e meno spazio per agire. Non per soluzioni tattiche collettive, ma perché i duelli saranno estremizzati ancora più di ora. «Si creeranno coppie di giocatori opponenti sul campo e chi saprà prevalere nell’1>1 darà importanti vantaggi alla propria squadra.» E allenare l’1>1 sarà una priorità. Prosegue il suo interessante discorso Maurizio, toccando altri concetti formativi e possibili cambiamenti regolamentari.

Il tema del gioco

Il responsabile della metodologia dell’Academy alla Sampdoria, Salvatore Leotta, subentra a Viscidi per ribadire come l’attenzione debba essere «Posta sul giocatore. E per formarlo al meglio occorre agire su tecnica, spazio, preparazione specifica con tanta… empatia.» Si sofferma su quest’ultimo termine, spiegando come il mister debba essere capace di creare un rapporto speciale con il ragazzo, un rapporto che lo lasci libero di scegliere senza imposizione. L’intervento davvero curato e meticoloso prosegue chiarendo che tipo di calciatore vogliamo preparare, prima di passare all’argomento delle partite a temi, proposte che mettono il gioco – fondamentale mezzo allenante – al centro del processo formativo. Vi sono quelle condizionate e quelle vincolate ad esempio, ma ciò che conta è riportare la realtà calcistica. Dopo queste specifiche, Salvatore mostra ai presenti una serie di soluzioni valide per i giovani.

Il responsabile della metodologia dell’Academy alla Sampdoria, Salvatore Leotta.

L’allenamento fa la differenza

Dalla tecnica e dalla tattica, si passa agli aspetti fisici per i giovani. Si analizzano le più moderne teorie dell’apprendimento, su tutte quelle di Rob Gray, con Alberto Pasini, responsabile dei preparatori fisici del settore giovanile dell’Atalanta. «Allenare il giovane vuole dire permettergli di esprimere le proprie capacità al meglio, lavorando su miglioramento delle abilità sollecitando l’adatt…abilità, su contenuto-contesto, su uno sviluppo fisico a lungo termine, ponendo anche l’accento sulla capacità di sprint.» Questi gli argomenti principali che il competente preparatore della Dea illustra nella sua relazione. Specifica come diventare abili significhi diventare adattabili, perché è impossibile per il calciatore estraniarsi dal contesto in cui agisce. E soprattutto che, talento a prescindere, è attraverso l’allenamento che si “diventa bravi”. Un allenamento che deve tener conto del fatto che ogni giocatore è diverso dall’altro e ha le sue specificità.

E i portieri?

Dopo gli aspetti fisico-atletici si va… in porta con Gaetano Petrelli e Pasquale Pastore, freschi autori del libro La tattica del portiere. Perché i giocatori che ricoprono questo ruolo non possono più essere considerati esterni al contesto squadra. «In Italia dobbiamo fare rapidamente un passo avanti – affermano all’unisono i due tecnici dei numeri uno – dal punto di vista tattico. Che non vuol dire tattica collettiva, ma individuale. Dobbiamo allenare i giovani estremi difensori a scegliere, a decidere, ad analizzare la situazione, non solo a compiere i gesti tipici del ruolo. La maggior parte degli errori sono di valutazione. Da questi vengono i gol. Quindi, fin da piccoli, è necessario preparare i bambini a questo, a conoscere i princìpi fondamentali di tattica individuale.» Chiarito questo punto, la relazione evidenzia diversi aspetti collegati alla parata, all’allenamento, all’inserimento del portiere nel contesto di squadra, alla comprensione del gioco e alla sua costante evoluzione. Con Gaetano e Pasquale terminano le lezioni mattutine.

Un progetto dinamico

L’apertura del pomeriggio è coi più piccoli, con una doppia relazione ben organizzata, di Mirko Mazzantini e Nico Lelli della Fiorentina. Il responsabile tecnico dall’U9 all’U14, Mazzantini, introduce i lavori spiegando il nuovo progetto tecnico per la formazione del talento della Viola, un progetto nato nel periodo del lockdown, proseguito in queste due stagioni “quasi libere” in una modalità più pratica, da campo, che sarà certamente perfezionato nelle prossime. Perché il modello non può che essere dinamico, con l’aggiornamento come focus. Infatti «Abbiamo lavorato molto su quest’ultimo concetto, attivando diversi laboratori interni di ricerca e sviluppo e confrontandoci con le realtà estere per capire cosa trarre e portare nel nostro contesto – dice Mazzantini prima di passare la palla a mister Lelli, istruttore dell’U9.» Nico propone una seduta per l’annata e si sofferma con efficacia sui macro-obiettivi della categoria – il punto di partenza per lavorare al meglio – e «Sull’egocentrismo dei ragazzi. Sono in una fase molto individualistica – sostiene – bisogna tenerne conto. Per questo, stimolare il duello è determinante».

Disciplina!

Da Firenze si vola a Monaco, con Martin Demichelis, tecnico del Bayern Monaco II. Ex giocatore professionista di assoluto livello, con esperienze al River, al Bayern, al Manchester City e nella Nazionale argentina, si dedica all’allenamento dei giovani da alcuni anni. Ci racconta quello che avviene nel club tedesco: «Qui i princìpi comportamentali e di gioco sono imperniati sulla storia del Bayern Monaco! Tutti devono rispettarli. C’è una piramide con indicati i concetti dai quali non si può transigere. Il senso di appartenenza che si vuole trasmettere è incredibile. E poi c’è la disciplina. Ecco il nostro punto di partenza. Non c’è successo senza disciplina. Puoi essere l’allenatore più bravo o il giocatore più talentuoso ma non ci sono eccezioni». La sua relazione prosegue tra aneddoti personali, indicazioni di lavoro per i giovani e un produttivo lavoro sui rondos.

Martin Demichelis, allenatore del Bayern Monaco II.

Destinazione Villareal

“Il calcio integrato nel settore giovanile”: questo il tema che hanno portato i due relatori spagnoli Jose Mataix e Carlos Bou del Villareal (U13). Il loro intervento si apre con due filmati, il primo della gara tra Real e City, partita dominata quasi fino alla fine dagli inglesi, sotto qualsiasi punto di vista, specialmente secondo loro da quello fisico, ma cambiata negli ultimi istanti. L’emotività di una rete realizzata ha stravolto tutto. Il secondo di Usain Bolt, forse uno degli uomini più preparati atleticamente della terra, che gioca a calcio. Con risultati non proprio interessanti. Perché manca di alcuni concetti cognitivi sport-specifici. «Il pensiero che vogliamo far passare è che per formare un giocatore di alto livello bisogna considerare le diverse aree della performance come un tutt’uno, non possono essere slegate. E quella mentale è fondamentale.» Viene poi analizzata l’importanza della struttura cognitiva, dell’area socio-affettiva («Quante volte due giocatori di assoluto valore non trovano l’intesa tra loro perché non instaurano una relazione produttiva»), di quella coordinativa legata al calcio, di quella emotivo-volitiva e degli aspetti creativi («Vogliamo giocatori fantasiosi, ma li alleniamo a questo?»). Un punto di vista, il loro, estremamente ricco e innovativo. Per una relazione tutta da ascoltare.

Ambizione

Cristian Chivu è uno degli eroi del triplete nerazzurro, un giocatore che si è formato in Romania, per poi passare in Olanda (sponda Ajax) e arrivare in Italia. Un bel percorso il suo, da cui ha tratto diversi insegnamenti, che riporta ora ai suoi ragazzi. Ormai da diverso tempo è tecnico delle giovanili dell’Inter e, dopo aver seguito diverse categorie, ora allena la Primavera. E quest’anno ha vinto lo Scudetto. Nella sua relazione parla di valori, di come ha perfezionato le sue abilità calcistiche, prima sulla strada poi nei vari club, di quello che è indispensabile trasmettere ai giovani d’oggi. E si focalizza sull’ambizione: «I ragazzi, a prescindere dalla categoria e dal livello, devono avere un obiettivo chiaro davanti a loro, da perseguire con coraggio e senza paura di fare fatica. Ricordando che non si migliora da un giorno all’altro, ci vuole tempo e pazienza».

Cristian Chivu, tecnico della Primavera dell’Inter.

E con queste due parole si conclude il nostro Master, due parole che devono rimbalzare nella testa di ogni allenatore che vuole migliorare… se stesso e i suoi giocatori.

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