Lele Adani: il Mondiale segna la storia del calcio

Lele Adani: il Mondiale segna la storia del calcio

Carlo Pizzigoni

Sarà il Mondiale dei tecnici e di una generazione di giocatori straordinari. Dobbiamo imparare da questa manifestazione, non c’è dubbio. La voce tecnica della Rai in Qatar tocca temi importanti riguardo all’evento.

Il calcio come missione, il calcio come vita, come elemento che incide giornalmente nella nostra esistenza. La scelta di comunicarlo, in Lele Adani, nasce da una volontà di restituzione alla gente, come lui ha detto più volte, rispetto a quello che gli è stato donato da questo sport, ma si fa essenza, racconto, analisi solo attraversando la vita, direi quasi lo spirito. Lele, amico e collaboratore de Il Nuovo Calcio, sarà al Mondiale in Qatar come principale commentatore della Rai. Lo abbiamo intercettato sulla scaletta dell’aereo per Doha per conoscere cosa, partendo dalla sua passione per il futbol, dobbiamo trovare in questa festa del calcio chiamata Coppa del Mondo.

Arrivano i Mondiali, l’appuntamento dell’anno, con quale sentimento e quali sensazioni lo ac­cogli?
«Il sentimento con il quale si accoglie il Mondiale è lo stesso da sempre: è la cosa più bella che ci sia. Se tutti noi sentiamo costantemente il calcio come compagno di quotidiano, beh, credo che il regalo che ci viene continuamente fatto ogni quattro anni sia l’appuntamento più alto e che ci unisce di più, che ci spinge a viaggiare, a fare sacrifici e a cambiare il nostro quotidiano inteso come lavoro, passioni, hobby e impegni per seguirlo con tutto noi stessi. Quando entri nell’anno del Mondiale inizi un conto alla rovescia, così come quando finisce scruti l’orizzonte per vedere e attendere il successivo. Le ere calcistiche sono segnate da questa competizione.»

Non ci saranno gli Azzurri. Ovviamente da appassionati ci godremo il torneo, ma cosa deve accompagnare il gruppo azzurro e cosa deve fare la Federazione affinché non ci sia mai più un Mondiale senza Italia?
«Io credo che il lavoro di costruzione della Federazione debba partire dalla messa in discussione e dall’assunzione di responsabilità completa di loro stessi e del loro operato. Intendo che tutti i rappresentanti di queste istituzioni devono domandarsi sempre se hanno fatto tutto il possibile per la gente, perché il risultato della propria Nazionale è un rendiconto che fai continuamente coi tuoi connazionali. Perché l’Italia è un Paese calcistico che vive, sanguina di calcio, e se per caso il sentimento, la passione vanno ad affievolirsi bisogna sempre chiedersi quante responsabilità ab­biamo avuto in questo calo. Perché non può essere solo un discorso di guida tecnica o di fallimento dei calciatori, ma deve riguardare e coinvolgere tutte le cariche che rappresentano la Federazione e il Settore Tecnico.»

Quindi…
«Credo che si debba partire da un mea culpa, da una messa a nudo di quelli che sono i do­veri costanti da sostenere e gli obiettivi veri da perseguire in futuro, collettivi e individuali. Penso che sia questa l’unica strada per riparti­re, cercando poi un percorso che non sfoci nel “fare un punto in più di un’altra squadra in un girone di qualificazione”, ma che si definisca in una nuova costruzione, quasi in una nuova nascita, da un punto di vista tecnico, ideologico, culturale. Riunirsi, riconoscere gli errori e ripartire con valori importanti e profondi. Per il bene di tutti.»

Si parla molto di Francia e Brasile, sono forse le favorite, anche per la straordinaria rosa disponibile. Solo tanto materiale umano o anche tanto buon lavoro di formazione in questi due Paesi?
«La Francia e il Brasile sono sicuramente le favorite. Però in un calcio dove sempre più nascono condizionamenti generati da idee nuove – perché la Nazionale attinge dai club e i club hanno culture di progettualità che ispirano la Nazionale – è necessario rimanere aperti mentalmente. Penso all’Inghilterra, al Portogallo, alla stessa Italia perché Mancini ha cambiato il modello culturale di pensare e anche il modo di giocare sicuramente guardando verso quello che tutti non vedono, andando oltre. Tornando a Francia e Brasile, loro non si fermano al grande bacino da cui possono attingere e al numero elevato e continuamente rinnovato di calciatori, ma progettano, investono sulle idee perché la formazione è la base che si va a fondere con la ricerca.»

Il Brasile, uno dei favorito per la conquista del Mondiale in Qatar 2022.
Il Brasile

In che senso?
«Nel senso che tu devi essere pronto a valutare tutto il materiale disponibile, poi devi essere bravo a capire dove c’è margine per agire, dove c’è margine per rivoluzionare, dove c’è margine per accompagnare. Quindi la bravura degli educatori, degli scout, dei ricercatori deve unirsi; ecco perché parlo di allineamento di programmi, allineamento di cultura, tutto ciò deve combinarsi alla capacità tecnica di chi poi valuta gli aspetti da campo, nel formare. Ed ecco che alla fine ti rendi conto che la Croazia può arrivare in finale al Mondiale, che il Portogallo può vincere un Europeo e che ci sono delle Nazionali molto più forti, con tante potenzialità e calciatori che rimangono a casa o vengono sorpassati da progetti più seri. Insomma, avere tanti giocatori disponibili è importante ma non basta, l’investimento umano sulla formazione è decisiva, e Francia e Brasile ce lo dimostrano.»

L’Argentina di Scaloni ha un filotto di risultati positivi impressionante, ed è comunque tra le favorite. Cosa è cambiato con questo tecnico che visse da vice il Mondiale in Russia ma che non aveva mai realmente allenato da primo?
«L’Argentina non è solo un cumulo di talento ma è un gruppo che non vuole mai arrendersi. I suoi calciatori esperti hanno sofferto e, a volte anche ingiustamente, sono stati costretti a vedere vincere altri. Sono uniti, un gruppo di giovani che cresce ispirato e motivato dalle delusioni dei compagni più anziani. Per quelli rimasti c’è questa voglia di dare qualcosa in più, le nuove leve sono quelle che accompagnano, sostengono e giocando riconoscono il sacrificio e le delusioni che hanno avuto i compagni più esperti. Ovviamente un discorso a parte merita Messi che è totalmente l’idolo di tutti. Tutti si sentono in dovere di fare una corsa in più per lui, lottare per un pallone in più per lui e cercare di dargli una possibilità in più – a lui – per arrivare alla Coppa; quindi metterlo in condizione di prendersi la gloria che merita. Ecco, Scaloni ha unito tutto questo. La Scaloneta, la macchina cre­ata dall’altro Lionel, si diverte e lavora molto seriamente, è molto molto coesa e soprattutto, non ci stancheremo mai di dirlo: gioca bene a calcio.»

Messi, uno dei favoriti per la conquista del Mondiale in Qatar 2022.
Lionel Messi

È l’ultimo Mondiale di Messi, di Cristiano, ma anche di gente come Suárez, Cavani, Di Maria. Si chiude una parentesi importante della storia del calcio?
«Eh sì, grandi icone sono sul viale del tramonto e saranno al canto del cigno… si chiude una paren­tesi importante del nostro calcio, del calcio di tutti, perché questi calciatori Suárez, Cavani, Di Maria, Messi, Cristiano Ronaldo sono stati i calciatori veramente di tutti. E anche del nostro racconto possiamo dire, perché abbiamo cavalcato le loro imprese vedendoli prima nei Mondiali giovanili, poi nella squadra dove si sono formati, li abbiamo visti incantare il mondo… Li abbiamo visti in prima linea, mostrare il loro gioco, dimostrare la loro passione, la loro dedizione al lavoro: sono stati esempi viventi per il popolo del calcio. Hanno tutti storie diverse ma sono uniti da un comun denominatore: è gente che ama profondamente il calcio e che ha sempre difeso, con sacrificio, il proprio mestiere e che, nella propria condizione che è diventata via via di privilegiati, ha provato ogni giorno a meritare e onorare con i fatti quanto ottenuto. Senza mai dimenticare i loro percorsi, le loro radici… sono stati veramente degli esempi. Ci sarà sicuramente un velo di tristezza ma soprattutto di profonda riconoscenza da parte di tutti noi appassionati.»

L'allenatore Van Gall.

Louis van Gaal, allenatore dell’Olanda

Aggiungo che sarà anche l’ultimo Mondiale per un allenatore che ha lasciato il segno nella storia del gioco, Louis van Gaal. Quanto ti aspetti dalla sua Olanda?
«Vale lo stesso discorso che ti ho appena fatto, anche per van Gaal. Il tecnico olandese va accompagnato nella maniera più rispettosa possibile per quello che ha fatto, per come ha rivoluzionato e per come ha inciso a livello ideologico. Per come è rimasto focalizzato sull’aspetto principale, tentando di dare al calcio il suo profondo pensiero, la sua visione di bello, di vincente, di rivoluzionario, di avverso ai luoghi comuni, completamente dedito al lavoro, e soprattutto mostrando la ricerca continua dello spettacolo, del gol. Quindi anche van Gaal, con la sua Olanda, credo che non abbia come unico obiettivo quello di ben figurare: ricordo in Brasile nel 2014, ha mostrato qualcosa di speciale perché all’atto pratico mise la parola fine a quella Spagna. Una delle Nazionali migliori della storia del calcio si fermò davanti alle giocate dell’Olanda. Van Gaal quindi si ripresenta per lasciare un segno, non per visitare Doha.»

Mi sembra che questo sarà ovviamente il Mondiale dei grandi giocatori ma che ci sarà un posto importante anche per i tecnici, che sempre più incidono a livello di proposta. Come la vedi?
«Allora, il discorso dei tecnici irrompe nel calcio moderno con un ruolo sempre più importante, quasi da attore protagonista rispetto a quello di tanti calciatori. Prendiamo ancora l’esempio di Scaloni, un allenatore ad interim che diventa un possibile uomo dei record nella Nazionale dove il capitano è uno dei più grandi, se non il più grande, dai, se la giocano in due, della storia. Il punto è che l’allenatore incide sempre di più in tutte le cose: nella condizione tecnica, in quella tattica, in quella gestionale. È uno stratega e allo stesso tempo il punto di riferimento del gruppo, deve rimanere una persona retta moralmente, una persona studiosa che deve fare delle scelte, una persona che deve rispondere sempre di più a un popolo ed è per questo che è sempre più importante la sua comunicazione esterna. Questa, oggi, invade e a volte destabilizza; il tecnico deve far fronte a variegate necessità ed è questo il motivo dell’allargamento più accentuato degli staff.»

Cosa serve poi agli allenatori?
«Le spalle larghe e quella credibilità che va conquistata ogni giorno perché puoi perderla in ogni minuto davanti a certe figure, davanti a certe grandi personalità. Il ruolo di CT è ancora più complicato da questo punto di vista: devi fare tanto in poco, tanto lavoro in poco tempo, quindi c’è bisogno di menti aperte, di grande collaborazione, dell’aiuto dei calciatori, dei club. Nel calcio di oggi diventi credibile solo se ti concedi totalmente come uomo e nella proposta di gioco perché una proposta di gioco che limita, che non entusiasma, che ha poco protagonismo, senza – diciamo così – del coraggio, non fidelizza e non può arrivare lontano. Invece chi grazie a tutte quelle qualità di cui abbiamo parlato, va oltre può rimanere per sempre, può lasciare davvero un segno nella storia. Mi piace sempre citare un esempio secondo me eclatante che è quello di Bielsa con il Cile: hanno vinto altri, Sampaoli e Pizzi, giunti dopo di lui, ma hanno vinto grazie al lavoro del Loco, grazie alla cultura cambiata, grazie alla nuova mentalità, grazie alla sua “rivoluzione”. Per quanto sia prestigioso l’incarico di commissario tecnico è un lavoro di “passaggio”, e quindi non puoi lasciare un segno se non ti doni totalmente, rispettando il gioco e anche la passione… perché giocare un determinato tipo di calcio rivela e unisce la gente. Accompagnare una selezione, “tifare” per una Nazionale, se vogliamo da un certo punto di vista ha un valore ancora più alto perché vuol dire unire le diversità che si hanno a livello di campanilismo nel Paese durante l’anno, è indossare la stessa maglia e vivere con un unico sangue. Credo che questa passione e questa spinta vada meritata con coraggio e con rispetto della passione della gente.»

Anche le squadre minori sono organizzate e preparate, il Mondo del calcio sta evolvendo ovun­que, cresce dappertutto. Tu che ne pensi di questa evoluzione? E, aggiungo, credi che ciò ci regalerà una possibile grande sorpresa?
«Le evoluzioni, lo studio, la miscela di culture, la voglia di viaggiare e di aprirsi ha portato nel recente passato grandi risultati, ha prodotto profondi cambiamenti. A me piace sempre ricordare la rottura che Klinsmann provocò nella Germania, dove va a instaurarsi un cambiamento importante e una rinascita nel calcio tedesco; l’esempio di Bielsa, prima. Quindi è decisivo non fermarsi, anzi, si andrà sempre di più verso la ricerca del dettaglio, lo vediamo nei club e lo vedremo nelle Nazionali: nessuno si accontenta di partecipare. Lasciami fare una sottolineatura necessaria.»

Prego…
«Non penso al partecipare o al vincere esclusivamente dal punto di vista del risultato sportivo ma è molto più importante il risultato culturale, è una cosa molto più ampia perché lascia un segno e mi­glioria il quotidiano delle persone di una determinata città, di una determinata Nazione: lasciare un segno culturale non è solo alzare una coppa, non c’entra niente, è una cosa molto più profonda, molto più nobile e ovviamente viene scolpita nel tempo ma non per forza incisa in una targhetta, no no no, la trovi nel cuore delle persone, ha un significato molto molto più alto. In quest’ottica penso anche alle possibili sorprese del Mondiale, sono curioso di vedere il Portogallo, di vedere come vivranno a livello sentimentale, a livello carnale la manifestazione l’Uruguay e le africane, soprattutto il Senegal Campione del continente. È una squadra che va accompagnata con attenzione. Poi parlavamo dell’Olanda ed è quasi superfluo citare Germania e Spagna, insomma non possiamo trascurare veramente niente e nessuno, perché ogni Mondiale regala novità, anche da dove meno te lo aspetti. Un’altra cosa…»

Vai…
«Viene data troppo poca rilevanza, specie da noi italiani, all’Inghilterra: c’è poca attenzione, il per­corso inglese degli ultimi anni va rispettato, come rivoluzione compiuta, come etica del lavoro, come campionato competitivo, come vivaio e settore tecnico e di formazione del talento.»

Cosa ti piace di più del Mondiale e cosa auguri a questo Mondiale che sta per cominciare?
«Il Mondiale rimane un passaggio cruciale della vita non solo della propria passione, che è quella che tutti noi condividiamo se abbiamo in mano questa rivista, ma della propria vita, così come è sempre stato e sempre sarà. A livello tecnico io sono pronto, noi dobbiamo essere pronti ad acco­gliere qualsiasi cosa ci verrà donata; sarebbe troppo facile parlare di gol e di giocate. Mi auguro tan­ta passione e tanta condivisione. Ogni volta, quando arrivano queste grandi manifestazioni, spero soprattutto di imparare. Lo spettacolo è scontato, visto che ci sono troppi campioni, troppe stelle che rispettano il Mondiale e preparano quasi la loro intera stagione calcistica in funzione di questo evento. Mi aspetto di imparare. Il calcio è sempre pronto a guidarci, a stupirci, quindi devo farmi trovare pronto e devo stare molto attento, sarà l’ennesimo banco di prova anche per chi, come noi, si approccia in maniera più analitica, in maniera magari più consapevole: bisogna saper declinare tutto lo spettacolo che ci viene proposto, in idee, in nuovi approcci da trasferire e poi condividere.»

Buon Mondiale a tutti, e viva il Futbol.

Foto: Italyphotopress